Esperto Mindfulness – MDF


Cos’è la mindfulness

La tradizione buddhista definisce la mindfulness come la “consapevolezza del momento presente” e “il ricordarsi dei propri pensieri, azioni, emozioni e azioni e delle loro conseguenze su noi stessi e sugli altri”.

Le origini del concetto di mindfulness risalgono ad una storia antica di quasi 2500 anni e trae origine dalla parola “Sati” (सति) in lingua Pali e si riferisce ad uno stato di “presenza mentale” in cui i fenomeni interni ed esterni, da un lato vengono visti per come sono e dall’altro, si fa distinzione tra il “fenomeno” e le “nostre proiezioni e distorsioni” o congetture.

Il verbo collegato alla parola Sati è Sarati che significa ricordare, ovvero la capacità di ricordare i propri pensieri e comportamenti e delle conseguenze che questi hanno su noi stessi e sugli altri.

Lo sviluppo della Mindfulness porta inevitabilmente all’aumento della consapevolezza delle proprie intenzioni, emozioni, pensieri, parole ed azioni e delle conseguenze che questi hanno. Significa essere presenti a se stessi e avere maggiore chiarezza su ciò che deve essere fatto e cosa invece no.

La mindfulness oggi

L’orientamento attuale verso la mindfulness si può riassumere in due atteggiamenti principali, collegati indissolubilmente tra loro: 1) l’abilità a dirigere l’attenzione al momento presente e 2) l’attitudine con la quale la si fa -curiosità, apertura e accettazione.

La mindfulness è una modalità con la quale si vive la propria esperienza (interna o esterna) con attenzione consapevole, senza giudicarla, e vivendola momento dopo momento, evitando di indentificarsi nei propri contenuti.

Come sviluppare la mindfulness

La mindfulness è sia uno stato mentale, sia un tratto, un atteggiamento, qualcosa che si può apprendere. 

Le filosofie orientali che hanno alimentato l’origine della mindfulness ci hanno consegnato preziosi strumenti per raggiungere una visione chiara e accettante dei propri pensieri, emozioni, sensazioni e azioni insieme alle loro conseguenze. La meditazione.

Esistono due modalità fondamentali nella pratica meditativa: 1) strutturata, in cui si stabilisce un tempo e un luogo dedicati alla meditazione; e 2) uno informale cui si può accedere in diversi momenti della giornata, a prescindere dal luogo in cui ci si trova.

Perché la mindfulness

Perché un coach diventa esperto in mindfulness? Questa domanda me la sono fatta io per primo. Il mio interesse per le culture e le filosofie orientali nasce ai tempi dell’Università, nel pianificare il mio percorso di studi avevo inserito il corso di Etica Morale e Antropologia Culturale.
Il collegamento tra i miei interessi universitari e lo sviluppo delle competenze in mindfulness mi è stato chiaro solo in un secondo memento.

Tutti sappiamo che le condizioni atmosferiche sfuggono al nostro controllo. Il buon marinaio impara a leggerle attentamente e rispettarne la potenza. Se è possibile, evita la tempesta; ma, se non è possibile e ci si trova in mezzo, sa quando è il momento di ammainare le vele, serrare i portelli, gettare l’ancora e aspettare che la burrasca si acquieti, tendo sotto controllo quello che è controllabile e lasciando andare il resto.

L’autore di questo estratto è Kobat-Zinn. Come coach ho la possibilità di fare domande, le risposte sono tutte lì, a disposizione del mio coachee. Ora immaginate che quel coachee sia un quel marinaio, meglio, il capitano della sua nave e che quel capitano debba seguire una sua rotta, sia anche solo navigare in acque tranquille.

Il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento rispetto al problema. Comprendi?

Jack Sparrow

La pratica giornaliera porta ad una maggiore conoscenza di sé (le proprie intenzioni, i propri desideri, i propri scopi e i propri valori personali), ad una maggiore conoscenza di come funziona la propria mente (sospensione del giudizio e reazioni automatiche) e dei propri stati mentali.
Spesso reagiamo in modo automatico, il nostro cervello è progettato per apprendere i comportamenti che hanno avuto maggiore successo per noi e la nostra sopravvivenza e tende a replicarli, e replicarli, e ancora, ancora.

Se acquisisco maggiore consapevolezza di me stesso, delle mie intenzioni, di come reagisco, se ho un atteggiamento accettante e amorevole di me, allora ho la possibilità di gestire il momento in modo più benefico e salutare per me stesso e per gli altri.

Uno dei modelli di riferimento della pratica Mindfulness è il P.E.R.M.A., ciascuna di queste lettere rappresenta un ambito di benessere. 

La cosa interessante è che questi “ambienti” sono riconosciuti liberamente come spazi di benessere personale e sono:

P: “Positive emotions”. Presuppone l’aumento delle emozioni positive, non scambiandole con quelle negative o con la loro trasposizione, bensì come strumento per gestirle.

E: “Engagement”. Impegno. Ci permette di situarci in uno stato di armonia, di affinità, di flusso di coscienza. Si tratta di impegno nella ricerca di quelle attività che ci permettono di entrare nel “flow”, o stato ottimale di attivazione. Quando ci impegniamo in un compito o un progetto, sperimentiamo uno stato di flusso in cui il tempo sembra fermarsi e perdiamo la percezione di noi stessi, concentrandosi intensamente nel presente.

R: “Relationships”. Relazioni positive. Sotto la nostra innegabile condizione di esseri sociali, risulta ovvio affermare che questo fattore è indispensabile per il raggiungimento del nostro benessere. In maggiore o minor misura, tutti noi abbiamo relazioni con gli altri, più o meno intense ma che presuppongono un fattore di protezione e appoggio estremamente potente e, pertanto, importante e necessario.

M: “Meaning and purpose”. Scopo e significato. Questo fattore fa riferimento alla ricerca dell’appartenenza a qualcosa di più grande di noi stessi. Comporta l’idea che il senso della nostra vita va oltre il concetto di noi stessi.

A: “Accomplishment”. Successo e senso di riuscita. Implica lo stabilire mete, le quali una volta raggiunte, serviranno a farci sentire competenti, promuovendo la nostra autonomia. Si riferisce al raggiungimento degli obiettivi in relazione al miglioramento delle nostre abilità.

Ora è chiaro quanto le due aree siano collegate. Sono certo che almeno una di queste esperienze l’hai vissuta. Anzi, ti dirò che ne sono certo. Ne sono certo perché nell’infanzia e nell’adolescenza abbiamo “coltivato” tutti questi fattori senza rendercene conto. Quante volte ti sei trovato/a in uno stato di flow!? 

Quindi al nostro iniziale binomio della pratica mindfulness possiamo aggiungere un terzo punto

  1. Il fermarsi o il “non fare”, astenersi dal giudizio, disinnescare reazioni automatiche.
  2. Accettazione del momento attuale interno ed esterno, del funzionamento della mente, di noi stessi, del nostro progetto esistenziale fatto di scopi, progetti a breve, medio e lungo termine e di valori personali
  3. Il “fare consapevole”, ovvero il piano d’azione che viene dopo il “non fare”, fosse anche il non fare nulla.


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